È il 1437, siamo a Firenze e Cosimo il Vecchio de’ Medici incarica Michelozzo Michelozzi di progettare nel convento di San Marco quella che sarà la prima biblioteca “pubblica” d'Italia. La Biblioteca Laurenziana, plagiata dalla mente del Buonarroti, verrà aperta più di un secolo dopo, nel 1571, e saranno principalmente Agnolo Poliziano e Pico della Mirandola ad andare a caccia di volumi per il Magnifico.
Petrarca già nel XIV secolo elogia la mitica biblioteca di Alessandria e scrive delle necessità di aprire luoghi di consultazione pubblici e se basta meno di un secolo per assimilare questo concetto alla famiglia Medici, dobbiamo attraversare a grandi passi la storia per arrivare al 1812, al “con grandi cure e dispendj, non solo per vantaggio e comodo dei [suoi] discendenti, ma ancora per utile e bene dei [suoi] concittadini Recanatesi” di Monaldo Leopardi. Se è ben nota l'estrema erudizione del poeta Giacomo Leopardi, ben pochi sono a conoscenza del fatto che il conte Monaldo avesse progettato la propria biblioteca per porla al servizio di Recanati ed ancora più curiosa, e oserei dire rocambolesca , è proprio la storia dietro quei 20000 volumi che hanno nutrito il poeta marchigiano.
Nel 1797 Napoleone inizia la cavalcata nelle Marche e Monaldo Leopardi decide bene di indebitarsi, tanto da dover cedere alla moglie l'amministrazione delle finanza familiari, per comprare tanto al chilo libri su libri dai conventi circostanti, minacciati dai saccheggi francesi.
Ed è così che forse è bello cristallizzare l'immagine del padre di Giacomo, errante, con i suoi libri, la sua curiosità, senza la quale, forse, il genio leopardiano non sarebbe stato lo stesso e senza di esso, certamente, noi non saremmo stati gli stessi.
Diletta Diomedi