Chi vive nelle Marche conosce bene quelle sensazioni di serenità e di leggerezza che pervadono le tante strade e straduzze che intersecano questa bellissima regione. La strada come un’onda morbida, si srotola in un saliscendi di scenari variopinti, ciascuno ispiratore di altrettante cartoline, una più bella dell’altra. Ogni curva scopre un paesaggio nuovo, nella geometria, nelle forme e nei colori, come una variopinta coperta patchwork adagiata a coprire le membra di un docile gigante che si muove lievemente nel sonno.
Da bambina aspettavo con trepidazione il giungere della “teporosa” stagione: la primavera. La mamma caricava in macchina me e mia sorella e ci portava a trovare la nonna nella sua casa di campagna di San Rustico a Monte San giusto; si partiva dalle ancora umide pendici di San Ginesio, al limitare dei Monti Sibillini, e si attraversavano le campagne passando per i paesini medievali di Loro Piceno , di Mogliano e giù fino ad arrivare ad un avvallamento. È qui che un crocicchio di case va a creare uno snodo stradale fondamentale per quella comunità contadina che misura la propria ricchezza nel possesso di trattori e monumentali macchine per la raccolta e la lavorazione del grano e del fieno. Non a caso il nome di quel luogo è Macina e lì, strategicamente tutt’ora posto all’incrocio stradale, c’è un forno, dove ricordo era d’obbligo fare una sosta per comprare il pane proprio come si faceva una volta, i fragranti maritozzi appena sfornati e i tipici biscotti da inzuppare nel latte della colazione. L’auto si riempiva così di quel caratteristico profumo di festa che rendeva elettrizzante il resto del viaggio per noi bambini. Da Macina poi si risaliva su ancora in alto per pochi chilometri per poi prendere a destra una stretta strada imbrecciata, che si snodava rapida e tranquilla tra i campi di grano e di barbabietole. Ancora oggi percorro volentieri quelle strade e provo a ricordare quella meraviglia che riempiva i miei occhi quando scrutavano avidi dal finestrino ciò che scorreva veloce davanti a loro, attenti a non perderne alcun dettaglio. Certo oggi le cose sono cambiate e come si dice “non esistono più le mezze stagioni“ma nelle Marche la bellezza è ancora lí, intatta e forse più consapevole. Le nostre dolci colline, tutte coltivate, sembrano tanti fazzoletti di terra mirabilmente incastrati tra loro di modo che nemmeno un pezzettino resti improduttivo. Una biodiversità agraria eccellente, che i nostri contadini, uniti alla terra da generazioni, preservano con orgoglio, tramandando il loro sapere millenario di padre in figlio con dedizione, amore ma anche caparbietà, consapevoli che senza il loro duro impegno tanti favolosi prodotti si perderebbero per sempre, come ad esempio la fava di Fratte Rosa, il fagiolo Cenerino, la cicerchia di Serra De’ Conti, il carciofo di Montelupone, il pomodoro da Serbo, la cipolla di Suasa, l’orzo Nudo, il frumento di Jervicella ecc. I nostri frumenti antichi e le farine macinate a pietra, le nostre varietà di olive e i nostri oli Evo. Che dire inoltre dei vini: il Verdicchio, la Passerina, il Pecorino, il Lacrima di Morro d’Alba e la Vernaccia solo per nominarne alcuni, il mondo li ha appena scoperti e se né già innamorato. Poi la nostra frutta: mele, prugne, pesche, ciliegie e albicocche, i nostri formaggi e i nostri salumi… ci vorrebbero pagine e pagine di un’enciclopedia per elencarli tutti. Tanti e tanti prodotti generati dalla terra delle nostre colline e dall’impegno della nostra gente che crede fermamente in quello che fa e almeno una volta l’anno ciascun paese o piccolo borgo si veste a festa, intitolando una sagra alla propria eccellenza, in un tripudio di piatti dai tanti nomi caratteristici ed in occasione di orgogliose e fedeli rievocazioni della propria storia medioevale.
Come si fa a non amare le Marche, tonde come le sue colline, dolci come l’aria che le arriva dal mare e vere come la gente che le abita.
Mariella Vico