Il 1 ottobre del 1999, esattamente vent’anni fa, Santa Caterina da Siena (con a Santa Brigida di Svezia e Santa Teresa Benedetta della Croce) viene proclamata da papa Giovanni Paolo II Patrona d’Europa. Questo è molto più che un semplice riconoscimento: è dire che lei è stata donna di un mondo più ampio di Siena e dell’Italia, con una visione aperta a ciò che c’era oltre.
Se Santa Caterina (non me ne voglia) presentasse il suo curriculum si vedrebbe che oltre a questo è anche Patrona d’Italia insieme a San Francesco d’Assisi (nominata nel 1939 da papa Pio XII: sono ottanta anni), Dottore della Chiesa, compatrona di Roma dal 1866 per volere di Pio IX, dal 1947 Patrona delle infermiere della Croce Rossa e infine, patrona delle Contrade dell’Oca e del Drago. Insomma donna presa a modello e a protezione in ogni epoca e i cui insegnamenti riecheggiano anche oggi in un’Europa che fa fatica a dirsi unita, unità alla quale lei ha sempre anelato.
Dal discorso pronunciato proprio il 1° ottobre 1999 da papa Wojtyla:
“Le sue lettere si diramarono per l’Italia e per l’Europa stessa. La giovane senese entrò infatti con piglio sicuro e parole ardenti nel vivo delle problematiche ecclesiali e sociali della sua epoca. Instancabile fu l’impegno che Caterina profuse per la soluzione dei molteplici conflitti che laceravano la società del suo tempo. La sua opera pacificatrice raggiunse sovrani europei quali Carlo V di Francia, Carlo di Durazzo, Elisabetta d’Ungheria, Ludovico il Grande d’Ungheria e di Polonia, Giovanna di Napoli. Significativa fu la sua azione per riconciliare Firenze con il Papa. Additando “Cristo Crocifisso e Maria dolce” ai contendenti ella mostrava che, per una società ispirata ai valori cristiani, mai poteva darsi motivo di contesa tanto grave da far preferire il ricorso alla ragione delle armi piuttosto che alle armi della ragione. Caterina sapeva bene che a tale conclusione non si poteva efficacemente pervenire, se gli animi non erano stati prima plasmati dal vigore stesso del Vangelo. Da qui l’urgenza della riforma dei costumi che ella proponeva a tutti, senza eccezione. Ai re ricordava che non potevano governare come se il regno fosse di loro “proprietà” …L’esercizio della sovranità non poteva infatti essere disgiunto da quello della carità, che è insieme anima della vita personale e della responsabilità politica. Con la stessa forza Caterina si rivolgeva agli ecclesiastici di ogni rango, per chiedere la più severa coerenza nella loro vita e nel loro ministero pastorale…Occorreva sradicare – ella diceva – dal giardino della Chiesa le piante fradice sostituendole con “piante novelle” fresche e olezzanti. E forte della sua intimità con Cristo, la Santa senese non temeva di indicare con franchezza allo stesso Pontefice, che amava teneramente come “dolce Cristo in terra”, la volontà di Dio che gli imponeva di sciogliere le esitazioni dettate dalla prudenza terrena e dagli interessi mondani, per tornare da Avignone a Roma, presso la tomba di Pietro. Con altrettanta passione, Caterina si prodigò poi per scongiurare le divisioni che sopraggiunsero nell’elezione papale successiva alla morte di Gregorio XI: anche in quella vicenda fece ancora una volta appello con ardore appassionato alle ragioni irrinunciabili della comunione. Era quello l”ideale supremo a cui aveva ispirato tutta la sua vita”.