Sul numero di maggio di Vanity Fair viene riportata una lettera d'amore per l’Italia, in particolare per il Senese, scritta da una grande attrice: Natalie Portman che ci racconta il suo «viaggio nel tempo» e attraverso il nostro Paese. La nostra grande bellezza narrata da lei parla di equilibri e di un lifestyle unico e irreplicabile, se non in Toscana.
L’articolo fa parte di una serie di lettere d’amore all’Italia, scritte da grandi attori e registi. Nella sua lettera Natalie Portman racconta del periodo che ha trascorso in Toscana nell’estate 2014 con la famiglia. L’attrice era già stata varie volte nel nostro paese, per lavoro e per studio, esplorando varie città da nord a sud, ma nonostante ciò, trascorrere un intero mese in Toscana l’ha inaspettatamente e piacevolmente stupita.
La famiglia aveva deciso di soggiornare in Val d’Orcia, affittando un casale in campagna nei pressi di Pienza. Inizialmente la Portman si è fatta scoraggiare dal caldo di un’afosa giornata estiva, pensando di aver scelto il periodo sbagliato per visitare la nostra splendida regione, ma le è bastato fare un giro al tramonto per innamorarsi della Val d’Orcia e scoprire una vita inaspettata che li ha riportati indietro nel tempo per tutta la durata della loro vacanza. Riportiamo alcuni passaggi della lettera.
“Viaggiammo in macchina, noi tre, lungo la Val d’Orcia, al tramonto. La luce e la foschia, e il colore dell’incandescenza del giorno che si disperdeva, ci preparò per il viaggio nel tempo che stavamo per fare. Guidammo fino a Pienza, il paese più vicino alla nostra casa rovente. Passeggiammo lentamente lungo i vicoli attraversati dai fili della biancheria messa a stendere, spostandoci di lato per far spazio, lungo la stradina, a una nonna con i suoi nipotini, i bambini in bicicletta, come se fossero usciti da un film di De Sica. Arrivammo presto nella piazza, uno spazio grande a forma di trapezio con una bella chiesa su un lato, e un piccolo bar sull’altro. Era piena di gente. Gli italiani non se n’erano andati dal paese, riemergevano alla sera. I bambini giocavano a calcio nella piazza, ridendo e urlando in quella lingua bellissima. Nostro figlio si unì all’istante, grazie al linguaggio universale dell’infanzia: il calcio. Bevemmo vino al bar sul lato della piazza. Il proprietario ci fece entrare per mostrarci i suoi tesori del posto, e nostro figlio era libero di giocare, al sicuro da ogni pericolo. Il cielo era illuminato da cerchi luminosi e roteanti che un commerciante vendeva all’angolo della piazza e che i bambini lanciavano in alto verso le stelle.
Il tempo si era ugualmente fermato e dilatato. Ci sentimmo come trasportati in un’altra epoca, dove le famiglie ancora vivevano nello spazio degli stessi quattro isolati, i ragazzini potevano giocare liberi nelle strade, e la nonna era la persona più amata della famiglia, insieme ai bambini. Sconosciuti facevano buffetti sulla guancia di nostro figlio, giocavano a palla con lui, così che noi potevamo cenare seduti, e ci dicevano in italiano parole che, sono quasi certa, significavano: vostro figlio è il bambino più bello, intelligente, divertente che abbiamo mai conosciuto. Ma non parlo italiano, per cui è solo una stima ragionata.
Andammo in quella piazza tutte le sere per un mese. Mi rendo conto adesso che gli italiani hanno imparato a dominare il tempo, la nostra più grande risorsa e anche il nemico più minaccioso. Quelle serate sembrava che durassero un’eternità, e mi sentivo come se ci trovassimo nel 1952. […] E quel mese sembrò una vita intera. E non avrei mai voluto tornare a casa."