Engel & Völkers
  • 8 min di lettura
  • 28.12.2026
  • da Sven Michaelsen

Dalla parte degli artisti – il gallerista Thaddaeus Ropac

Sala espositiva luminosa con scultura in legno giallo su piedistallo in parquet e tre disegni su pareti bianche
Fotografia di: Artwork: GEORG BASELITZ, ADLER BARFUSS, VISTA DELL'INSTALLAZIONE, THADDAEUS ROPAC SALISBURGO VILLA KAST, 2024. GEORG BASELITZ: “DRESDNER FRAUEN - DIE ELBE” (DONNE DI DRESDA - L'ELBA), 1990/2023. © GEORG BASELITZ 2025. Foto: © Ulrich Ghezzi; COURTESY OF GALERIE THADDAEUS ROPAC, LONDRA • PARIGI • SALISBURGO • MILANO • SEUL.
  • Problema

    01/26

  • Posizione

    Salisburgo, Austria

  • Fotografia

    COURTESY OF GALERIE THADDAEUS ROPAC, LONDRA • PARIGI • SALISBURGO • MILANO • SEUL.

Considerato uno dei più influenti galleristi al mondo, con sedi su tre continenti, l’austriaco Thaddaeus Ropac rappresenta insieme ai suoi team 76 artisti e lasciti, tra cui i lavoridi Joseph Beuys e Andy Warhol. Abbiamo parlato con lui di momenti felici, omissioni e del suo ruolo nel mondodell’arte.

Tabella dei contenuti

  1. La straordinaria carriera di Thaddaeus Ropac

  2. La scuola dei grandi nomi

  3. Misura, atteggiamento e responsabilità

  4. La domanda sull'artista preferito

  5. Presenza internazionale e impronta personale

La straordinaria carriera di Thaddaeus Ropac

Quando Thaddaeus Ropac racconta la propria ascesa da autodidatta a uno dei più importanti galleristi al mondo, verrebbe da pensare che si tratti di una ben costruita leggenda promozionale. A casa dei suoi genitori, le arti visive non avevano alcuna importanza: il padre lavorava come selezionatore di pelli per le fabbriche della Carinzia. Ispirandosi al motto «Incapace di fare qualsiasi cosa, ma pronto a tutto», nel 1982 Ropac si candidò come aiutante di Joseph Beuys e ottenne un lavoro non retribuito come ‘assistente del sottoassistente’.Ropac ricorda che Beuys registrò la sua presenza solo in modo marginale, conferendogli però dopo alcuni mesi, «per pura gentilezza», una lettera di raccomandazione indirizzata ad Andy Warhol. Il testo, scritto a pennarello su un tovagliolo: «Dear Andy, please meet this talented young man. Joseph». Quando Ropac si presentò alla Factory a New York, venne portato lo stesso giorno a un incontro con Jean-Michel Basquiat. I disegni di quest’ultimo divennero il fulcro di una delle prime mostre nella sua galleria a Salisburgo. «Successivamente, gli ho chiesto come mai avesse affidato i suoi disegni a un novellino ventiduenne come me. La sua risposta: ‘Because Andy brought you’». Oggi Ropac conta su 150 collaboratori sparsi per il globo. Tra gli artisti viventi della galleria vi sono celebrità internazionali del calibro di Anselm Kiefer, Georg Baselitz, Elizabeth Peyton, Tom Sachs, David Salle, Tony Cragg, Alex Katz e Robert Longo.

Per il nostro appuntamento pomeridiano, trovo Ropac seduto nell’ufficio del capo della sua galleria di Salisburgo, davanti a lui una tazza di tè verde, alle sue spalle un Baselitz. Contrariamente al vanaglorioso leader globale di mercato Larry Gagosian, Ropac è un riservato esteta, che preferisce parlare dell’influenza della lirica di Paul Celan sul lavoro di Anselm Kiefer invece di discutere prezzi e profitti.

Ritratto di un uomo con occhiali e abito scuro, sorridente davanti a quadri in una galleria luminosa ed essenziale.
Il gallerista salisburghese Thaddaeus Ropac rappresenta complessivamente 76 artisti e lasciti in tre continenti, da Beuys a Rauschenberg. Foto: © Markus Huber; COURTESY OF GALERIE THADDAEUS ROPAC, LONDRA • PARIGI • SALISBURGO • MILANO • SEUL.

La scuola dei grandi nomi

Signor Ropac, lei è un autodidatta. Quando ha imparato a distinguere un Monet da un Manet?
Più o meno da quando avevo 25 anni. Sono partito dall’arte contemporanea e da lì ho fatto un viaggio a ritroso.

C’è stato un momento scatenante per la sua passione per l’arte?
Sì, il mio momento Eureka è arrivato nel 1979, quando ho visto l’installazione Basisraum Nasse Wäsche (Jungfrau) di Joseph Beuys al Palais Liechtenstein di Vienna. Da un lato ero arrabbiato, perché non capivo dove stesse l’arte in questo componimento di tre vasche d’alluminio, due tavoli e una balla di vestiti. Dall’altro, ero molto incuriosito dal fatto che esistevano delle persone convinte di mettere in mostra una cosa del genere in uno spazio talmente antico e venerabile come il Palais. Sono stati questi pensieri contrastanti a spingermi a diciannove anni verso il mondo dell’arte.

Quand’è che ha visto Beuys per la prima volta in carne e ossa?
Durante un incontro organizzato dall’Università di Arti Applicate di Vienna, nel 1981. La sala era colma fino al limite, io ero in piedi su un tavolo. Beuys entrò insieme ad altri tre o quattro artisti, ma per l’intera manifestazione sembrava ci fosse solo lui. La sua capacità di incantare il pubblico era straordinaria. La sua voce e il suo linguaggio del corpo gli conferirono una presenza e un carisma, concesso solo a poche persone.

E Andy Warhol, come lo vedeva?
Per molti aspetti era l’esatto opposto di Beuys: timido, impacciato e con una voce così bassa da rendere spesso impossibile l’ascolto. In compenso era avvolto nel mito Warhol, e questo era ovviamente eccitante. Quando si presentava per una mostra o una festa, indossando la sua parrucca biondo platino, si diffondeva sempre un mormorio tra la folla.

Come controparte, gli artisti vogliono uno spiritocritico, qualcuno che gli dica quando si sono persi
Thaddaeus Ropac

A luglio 1988, lei ha ospitato a Salisburgo l’ultima mostra di Jean-Michel Basquiat da vivo. Che impressione ha avuto di lui?
La sua tossicodipendenza e il suo comportamento erratico saltavano all’occhio. Oggi, quasi nessuno ricorda l’alternarsi di alti e bassi nella sua carriera. Il 12 agosto del 1988, il giorno in cui morì, la sua reputazione aveva toccato il fondo. Mary Boone, la sua celebre gallerista newyorchese, aveva rescisso la collaborazione, i prezzi dei suoi quadri erano ridotti al minimo. Il boom delle opere di Basquiat è cominciato anni dopo.

Nel 1981, all’apertura della sua galleria, Basquiat era uno dei primi artisti esposti da lei. Come sono stati accolti i suoi disegni dal pubblico
Non sono riuscito a venderne neanche uno. C’è da dire, che non avevo ancora un vero e proprio pubblico. All’epoca, la mia galleria si trovava al primo piano, sopra un negozio che vendeva abbigliamento proveniente da scorte dell’esercito statunitense.

Lei ha mai scoperto un artista oppure questo tipo di operazione è delegato alle gallerie più piccole?
Non siamo una galleria che osserva costantemente le accademie alla ricerca di talenti, ma ovviamente anche noi vogliamo scoprire i giovani artisti prima possibile, perché altrimenti si li acchiappano i colleghi. La nostra artista più giovane è Eva Helene Pade, una danese che vive a Parigi. È nata nel 1997. Un nostro collaboratore di Londra l’ha scoperta durante una mostra collettiva a Copenaghen. Abbiamo concordato subito che avesse una grande carriera davanti a sé.

Il suo leggendario collega Rudolf Zwirner disse una volta: «In realtà, si capisce a fondo soltanto l’arte della propria generazione». Lei con i suoi 65 anni capisce l’arte dei trentenni?
Sono d’accordo con Zwirner. Quando abbiamo esposto Hito Steyerl a Londra, il nostro team locale le ha chiesto se fosse disponibile per un incontro con giovani artisti. Lei non solo era d’accordo ma scelse anche gli artisti. Durante il dibattito stavo seduto tra il pubblico e, in parte, non ho capito di cosa si stesse parlando. Quando si parla dell’impiego di linguaggi e materiali artistici creati da intelligenze artificiali, mi mancano le conoscenze specifiche. Cedo volentieri la partecipazione a dibattiti su questi temi ai nostri collaboratori più giovani. In età avanzata è impossibile rinnovare costantemente la propria comprensione dell’arte contemporanea.

Nell’arte, la chiave di tuttosono sempre gli artisti. Prima o poi, le persone come me cadono nel dimenticatoio
Thaddaeus Ropac

Misura, atteggiamento e responsabilità

C’è un artista che ha scoperto troppo tardi, pentendosene successivamente?
Brice Marden, per esempio. Eravamo amici e vicini di casa in Grecia, sull’isola di Idra. Lui era di 22 anni più grande di me, apparteneva a un’altra generazione. Se avessi riconosciuto la sua importanza fin dall’inizio, l’avrei sostenuto prima e in modo più intenso. Capita di perdere delle occasioni, considerando poi con rimorso le proprie omissioni.

Le è mai capito di non riuscire ad acquistare un’opera, rimanendo col desiderio di possederla?
Considerato che parallelamente alla galleria sto costruendo una mia collezione d’arte personale, esistono purtroppo diversi casi del genere. Non appena si riesce a compensare una precedente omissione grazie a un acquisto, si apre subito una nuova falla. Ci sono anche colpi di fortuna, che mai avrei ritenuto possibili. Per anni ho inseguito una delle opere principali di Robert Rauschenberg, il quadro Rigger realizzato nel 1961. La scorsa primavera sono finalmente riuscito ad acquistare l’opera.

Qual è l’opera della sua collezione che innesca in lei la più forte reazione emotiva?
Probabilmente, la più importante opera della mia collezione è l’installazione Fulmine con cervo nella sua luce di Beuys. Ho assistito da vicino alla realizzazione di questo lavoro, anche se non è stato nel ruolo di assistente come scrivono in tanti. Andavo semplicemente a prendere la birra, oppure mi mandavano a comprare della colla da qualche parte. Non ho partecipato neanche per un secondo ai processi creativi. Trent’anni dopo, la sua vedova mi chiese se volessi comprare la scultura originale, composta da 39 pezzi. Non me lo sarei mai sognato. Fu un cerchio che si chiuse: da aiutante squattrinato, accampato nell’ostello della gioventù, a gallerista e collezionista delle opere di Beuys.

Se lei visitasse uno dei suoi artisti nel suo studio, vedendo un lavoro che non le piace, gli lo direbbe in faccia o lo delegherebbe a un dipendente?
Lo farei di persona. È molto più semplice di quanto lei possa immaginare. Nel corso degli anni si costruisce un rapporto di fiducia reciproca e, di conseguenza, ci si comporta in modo molto, molto onesto. Gli artisti non esitano a lungo, prima di chiedermi cosa penso dei loro lavori. Non vogliono sentirsi dire che tutto sia grandioso. Un consenso incondizionato gli renderebbe piuttosto sospettosi. Come controparte vogliono uno spirito critico, qualcuno che gli dica quando si sono persi o quando un lavoro è ancora incompleto.

Quando qualcuno ha chiesto al curatore e pluriennale direttore di museo Kasper König di quanto tempo avesse bisogno per riconoscere un’opera d’arte di alto profilo, lui ha risposto: «0,1 secondi. Quando sono in buona forma, la riconosco anche col culo». Lei come la vede?
König ha ragione. Chi ha visto molta arte, riconosce velocemente lo speciale e lo straordinario. Ma momenti del genere sono rari. Prenda la Biennale di Venezia, dove si vedono centinaia di opere. Alla stragrande maggioranza si dedicano solo pochi secondi.

A suo avviso, Larry Gagosian, David Zwirner, Iwan Wirth e lei, siete i primi galleristi nella storia dell’arte più famosi degli artisti rappresentati?
Questo mi sembra un enorme errore di valutazione, non sono assolutamente d’accordo. Ho studiato a fondo i grandi galleristi del XX secolo. Il più potente e influente a livello globale era Leo Castelli. Lui ha scoperto delle correnti artistiche per poi diffonderle nel mondo. Dopo la sua morte nel 1999, l’importanza dei suoi artisti ha raggiunto livelli mai visti prima, mentre il suo nome è finito lentamente nell’oblio. Oggi c’è ancora qualcuno che parla di Daniel-Henry Kahnweiler, il gallerista di Picasso? Nell’arte, la chiave di tutto sono sempre gli artisti. Prima o poi, le persone come me cadono nel dimenticatoio.

Il sogno di ogni grande collezionista è un museo che porti il proprio nome. Anche lei desidera questo tipo di immortalità?
È presto per parlare di un museo. Bisogna difendersi da progetti motivati esclusivamente dalla propria vanità. La cosa davvero importante non è il collezionista ma l’arte che può mettere in mostra.

Scala luminosa e simmetrica con ringhiere bianche; davanti alle finestre è appesa al centro una scultura da parete rossa.
Artwork: Antony Gormley per la mostra Umwelt, Salisburgo, 2023, con le opere Earth II e Ravel, 2022. Foto: © Ulrich Ghezzi; COURTESY OF GALERIE THADDAEUS ROPAC, LONDRA • PARIGI • SALISBURGO • MILANO • SEUL.

La domanda sull'artista preferito

Come si spiega il fatto che tra David Zwirner, Iwan Wirth e lei, tre dei più importanti galleristi su scala mondiale vengano dall’area di lingua tedesca?
Mi sorprende e non riesco a trovarne una spiegazione logica. Forse dipende dalla forte presenza internazionale dell’arte tedesca. Nei paesi di lingua tedesca molte persone non sono neanche consapevoli della fama mondiale di artisti come Kiefer o Baselitz.

Allo scultore e pittore Alberto Giacometti è stato chiesto cosa avrebbe salvato da una casa in fiamme: un gatto o un Rembrandt. Senza esitare, lui scelse il gatto. Lei, quale opzione sceglierebbe?
Non cado in questa trappola. Entrambe le risposte sarebbero banali, senza fornire informazioni rilevanti.

Se dovesse avvertire un emergente gallerista di evitare una specifica stupidaggine, quale sarebbe?
Di rispondere alla tipica domanda posta dai giornalisti: ‘Chi è il suo artista preferito?’. Tanti anni fa sono caduto anch’io in questa trappola. A seguire, mi ha chiamato uno dei miei grandi artisti, dicendomi: ‘Allora, tu non mi ami!’ Ho capito il suo dolore. È offensivo quando il tuo gallerista non ti considera il proprio artista preferito.

Si stima che il patrimonio di Gerhard Richter ammonti a 700 milioni di euro. Le stupisce che grazie a un pennello si possano raggiungere queste vette?
No, perché misurati in termini di potere d’acquisto, artisti come Rubens, Dürer, van Dyck e Bernini sarebbero stati altrettanto ricchi.

Da oltre 40 anni lei è l’unico proprietario e capo della sua galleria. C’è qualcuno autorizzato a contraddirla?
Santo cielo, sì, direi tutti. Anzi, chiedo specificamente che mi si contraddica. Noi abbiamo 16 direttori sparsi per il mondo, tutti pienamente coinvolti nei processi decisivi. Poco tempo fa ho proposto un nuovo artista per la galleria, pensavo che si potesse inserire bene nell’insieme. Sono stato messo all’angolo e l’ho accettato. Sono consapevole di non sapere sempre tutto. Perché dovrei oppormi a delle scelte riguardanti opere d’arte provenienti dal Sud-est asiatico o dall’America latina? Lì, mi manca l’esperienza.

Trova il tuo immobile a Salisburgo.

Presenza internazionale e impronta personale

Lei ha il diritto di veto. In quale occasione lo chiama in causa?
Trovandomi di fronte a un’opera con la quale non riesco a stabilire alcuna relazione, dico all’artista: ‘Mi dispiace, questo non va’. Capita di rado. Di recente, abbiamo salutato a Londra una collaboratrice che prima di lavorare con noi aveva diretto per quarant’anni un museo. Ovvio che con la sua esperienza, la sua parola conti quanto la mia.

La sua galleria organizza a livello globale tra 35 e 40 mostre l’anno, tra l’altro alcune in città molto lontane da qui, come Seul. Lei è coinvolto in ogni singolo evento?
Forse non dovrei dirlo, ma a volte vedo le opere d’arte solo in occasione dell’inaugurazione della mostra. In quei casi mi sento come un comune visitatore.

Da poco, lei ha aperto una dépendance a Milano. Come mai in tutti questi anni non ha mai aperto una rappresentanza a New York?
Essere presente nel mercato newyorchese mi divertirebbe, ma dovrei trovarmi in loco, carico di energia, come David Zwirner o Iwan Wirth che si sono trasferiti lì tantissimo tempo fa. Ho un appartamento a Manhattan, ma il centro della mia vita è Parigi. Per cambiarlo ci sarebbe un prezzo troppo alto da pagare. Probabilmente sono anche troppo europeo.

A causa delle sanzioni internazionali, l’oligarca russo Roman Abramovich nasconde la propria collezione d’arte – dal valore stimato di un miliardo di dollari statunitensi – in depositi franchi doganali, i dark room del mercato globale dell’arte. Lei continua ad accettare denaro da acquirenti russi o dai loro prestanomi?
In questo campo siamo estremamente attenti. Le transazioni si sono ridotte a un minimo. Il nostro reparto compliance è in grado di seguire ogni flusso di denaro fino alla fonte. È un lavoro faticoso e dispendioso in termini di tempo, ma aiuta a eliminare i famosi prestanomi.

Per molti anni, sopra il letto di Larry Gagosian era appeso l’ultimo quadro di Picasso. Quale quadro sta sopra il suo letto nella sua residenza Schloss Emslieb a Salisburgo?
Uno dei primi dipinti di Baselitz della serie Gli eroi.

Chi ha visto molta arte, riconosce velocemente lo speciale e lo straordinario
Thaddaeus Ropac

Che voto si darebbe nell’arte di vivere?
Non proprio buono. Sono gallerista al cento per cento. Questo preclude molte di quelle cose associate comunemente a un’elevata qualità di vita. Quel che ho raggiunto si basa su talento, molta fortuna e duro lavoro, con notevoli effetti sul benessere fisico. C’è un prezzo da pagare.

Quanti giorni di viaggio accumula in un anno?
Più o meno 180.

Quanto tempo trascorre ogni anno nella sua casa sull’isola di Idra?
Tre giorni a giugno.

C’è una frase nel suo settore che andrebbe vietata?
That’s so inspiring.

C’è un’affermazione sulla sua persona che non vorrebbe più sentire?
Che sono un ottimo oste.

Con quali frasi concluderebbe la propria autobiografia?
L’arte continua. Non fidatevi di chi proclama per l’ennesima volta la fine della pittura. La prossima generazione realizzerà dei quadri che ancora oggi sono del tutto impensabili. In fin dei conti, nella scena dell’arte chiunque non è altro che una nota a piè di pagina.

Lei comprerebbe un suo ritratto che la mostra com’era prima di diventare qualcuno?
Senz’altro. Cosa vedo in questo quadro? Un uomo giovane e curioso, con capelli molto lunghi, un po’ naïve e ignaro del mondo. Non mi preoccupa che qualcuna possa vederlo.

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